Questo libro, dedicato alla tragica vicenda di Sergio Ramelli, è – a modo suo – un “caso editoriale” perché, nonostante sia già stato ristampato cinque volte in quattro anni non lo avete mai potuto trovare nelle librerie… La sua diffusione, finora, è avvenuta unicamente attraverso un centinaio di presentazioni in tutta Italia.
Nell’era della comunicazione globale pensare che un libro possa ancora essere conosciuto solo grazie al “passa parola” e diffuso in migliaia di esemplari esclusivamente passando di mano in mano fa un certo effetto e induce anche a riflettere con attenzione sulla cappa di conformismo culturale e di omologazione politica che ancora opprime la cultura e l’editoria italiana.
Una cappa di conformismo e omologazione che viene strenuamente difesa dai “signori della cultura”. Una nicchia di privilegio e di potere che gli ormai ingrigiti profeti del pensiero unico non intendono in alcun modo rendere permeabile alle idee. alle memorie e alle esperienze altrui.
La vicenda di Sergio Ramelli – emblematica di tante altre tragedie degli anni Settanta – è proprio una di quelle storie che danno fastidio a chi preferisce descrivere quel periodo di follia e di morte come “anni formidabili”: a chi vuole tramandare il dogma progressista di “un’era di grande crescita sociale”; a chi vuole chiudere gli occhi delle generazioni future sui meccanismi ideologici che generarono l’odio, la violenza e il terrorismo.
Il solo nome di Sergio Ramelli fa “ancora paura” perché apre uno squarcio di verità sui troppi “buchi neri” della storia di questo interminabile, angosciante, oscuro dopoguerra italiano. La sua doveva essere una delle tante storie da cancellare, da dimenticare, così come sono state dimenticate per cinquant’anni le Foibe, così come sono stati cancellati gli orrori del “triangolo della morte”. Eppure la tragica esperienza vissuta da Sergio Ramelli – ricostruita in questo libro ricorrendo esclusivamente a documenti (atti processuali, testimonianze, articoli di giornale) – ha ancora molto da insegnare.
Per esempio attesta di quali e quante virtù può essere dotato un ragazzo di 18 anni. Non solo il coraggio, che Sergio dimostrò di avere con serenità, senza ostentazione né protervia, nel semplice gesto di cercare di tranquillizzare i genitori, minimizzando i rischi che correva, nel tentativo ostinato di vivere una vita “normale” (giocare a calcio, andare al bar con gli amici, uscire con la fidanzata) cosa che. invece. gli era negata (cacciato da scuola, pestato nel bar vicino a casa, minacciato con scritte e telefonate continue). Ma – soprattutto – la grande Virtù di Sergio, che emerge limpida in queste pagine pur così sature di orrore e di quotidiana violenza, è stata la coerenza.
Leggendo il racconto delle ultime, drammatiche fasi della sua breve vita ci rendiamo conto di come in qualsiasi momento di quel lungo calvario, durato più di un anno. egli avrebbe potuto dire “basta”, avrebbe potuto arrendersi, rinnegare le sue idee o semplicemente tirarsi fuori dalla militanza politica. Ma Sergio non lo fece. Per semplice, istintiva, naturale, onesta coerenza. Aveva degli amici? Voleva continuare a frequentarli. Gli piacevano certi libri? Voleva continuare a leggerli. Aveva un’idea politica? Voleva professarla, spiegarla, viverla.
E questa coerenza gli costò la vita.
Per questo, a distanza di oltre un quarto di secolo, la triste storia di Sergio Ramelli può diventare un simbolo, un esempio positivo per le generazioni a venire. Essa non solo costituisce un monito contro l’odio e la cieca violenza creati dalla degenerazione di ideologie che disumanizzano il nemico trasformandolo in mostro, ma è altresì emblematica del sacrificio di quanti, in quegli anni, difesero – con uguale coraggio e coerenza – la libertà di tutti.
Ecco perché, dopo tanto silenzio, il nome di Sergio Ramelli incomincia oggi ad essere conosciuto, onorato e ricordato. Oltre a Verona. che gli dedicò una strada nel 1983 (nei giorni del processo ai suoi assassini), oggi anche i comuni di: Cotogno, Chieti, Taurianova. Sanremo, Bologna, Reggio Emilia e Viareggio hanno approvato l’intitolazione di vie, piazze o parchi alla memoria di Sergio, mentre in un’altra dozzina di città sono state raccolte firme o inviate petizioni e mozioni per lo stesso motivo.
Merito indubbiamente di questo libro, merito anche dell’opera teatrale che da questo libro è stata tratta e che calca ormai i palcoscenici dei più importanti teatri italiani. Merito soprattutto di quanti, con fede e costanza, hanno aiutato fino ad oggi a diffondere in tutta Italia questa storia “che fa ancora paura”.
A questo punto, però. era giusto cercare di rompere l’assedio culturale e l’eterna congiura del silenzio uscendo definitivamente dalla logica ristretta dei “passa parola” per andare incontro ad un pubblico più vasto di italiani che abbiano ancora la passione della verità, il coraggio del confronto, il senso della storia.
Lo dovevamo a Sergio, ma più ancora lo dobbiamo a tutti quei giovani che. purtroppo. sono ancora vittime dei tanti “ex-sessantottini” annidati in scuole e università. in case editrici e show televisivi da cui continuano a diffondere la loro triste “cultura” fatta di discriminazione, faziosità, odio e menzogna.
Il volto solare di Sergio si contrappone a tutti questi “cattivi maestri” e dà speranza a chi non vuole arrendersi ai settarismi del passato, all’odierno appiattimento ideologico, al dominante nichilismo materialista… Dà forza a quanti credono ancora in un ideale di coraggio e di coerenza, in un sogno, in una Fede. nel personale impegno a donare tutto di se stessi…
Per non essere mai dimenticati.

Milano: 20 aprile 2002

Ignazio La Russa

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