Un lungo viaggio. Ecco cos’è stato per noi. fino ad oggi. questo libro. Un lungo viaggio non solo fisico, attraverso quasi novanta città italiane, ma soprattutto un lungo viaggio nel dolore della storia, nell’orgoglio della memoria, nella nostra stessa coscienza. Un pellegrinaggio di Fede e di ideali che ha richiesto tempo e fatica, disponibilità e sacrificio senza, ovviamente, che vi fosse un tornaconto in termini economici. Tuttavia, non è retorico affermare che. dopo più di quattro anni di questo cammino, noi tutti siamo diventati sicuramente più ricchi… di esperienze, di conoscenze, di ricordi e persino di saggezza, avendo imparato a confrontarci con amici, alleati, avversari… e, perché no, anche nemici.
Per quasi novanta volte abbiamo attraversato un sorta di dolorosa soglia spazio-temporale che ci sbalzava indietro di trent’anni e ancora più in là. attraverso le tante storie che “fanno ancora paura” in questa Italia dei silenzi, delle menzogne, delle verità negate frutto di un interminabile “dopoguerra” ancora intriso di odio. di preclusioni. di dogmi settari. Per poi ritornare ogni volta al presente, con la coscienza allertata dall’amara certezza che, purtroppo, nulla è cambiato e gli errori (e gli orrori) di ieri possono tornare, stanno già tornando, perché fanno parte di una mentalità ormai fortemente radicata che sopravvive al crollo dell’ideologia che l’ha generata.
E’ forse per questo che la storia di Sergio Ramelli è diventata ancora più emblematica. non solo di un’epoca – gli anni Settanta – non solo del sacrificio di chi allora difese la libertà di tutti, ma emblematica delle strategie con cui una perversa ideologia politica è ancora in grado di perpetrare se stessa sulla pelle di intere generazioni che vengono mandate al massacro fisico e morale. Ciò che più amaramente ci ha colpito in questi lunghi quattro anni è proprio l’aver visto rinascere, giorno dopo giorno, le stesse falsità, le stesse connivenze, le stesse violenze che distrussero l’Italia negli anni Settanta. Abbiamo rivisto una classe politica di governo che, per conservare se stessa oltre e contro la storia, non ha esitato a fomentare l’odio, a propagandare la violenza, a finanziare la sovversione: in questo aiutata – ancora una volta – dal coro gracchiante di intellettuali e giornalisti e dalla pavida connivenza di magistratura e Forze dell’ordine.
Quando iniziammo, nel 1997, a raccontare la storia di Sergio, i ragazzi più giovani ci ascoltavano spalancando gli occhi, increduli che in Italia si fosse potuti arrivare a tali soglie di barbarie impunita. Oggi. quando raccontiamo delle violenze bestiali di quegli anni e della loro genesi, sempre più spesso siamo costretti a fare il paragone con quello che sta succedendo sotto i nostri occhi: i fatti di Genova, le violenze dei Centri sociali, la morte di Carlo Giuliani, le sacche di impunità garantita che consentono a frange di teppisti di prosperare al di fuori della legalità… proprio come negli anni Settanta.
Un copione già visto, una trama già scritta… Dunque non cambia mai nulla, né mai si imparerà qualcosa dagli esempi del passato? Il problema è che i giovani protagonisti di questa nuova, vecchissima, ondata di violenza non sanno nulla di questo “passato”. A loro è stata raccontata un’altra storia: quella degli anni “formidabili” di Mario Capanna, quella del “mistero buffo” di Dario Fo, quella dell’impavido “eroe” Che Guevara. Cosa ne sanno loro delle Foibe o del Triangolo della morte? Cosa ne sanno dei cento milioni di morti del comunismo? Cosa ne sanno degli orrori degli anni di spranga e di quelli di piombo?
Risposta: nulla…
E allora bisognava ricominciare il viaggio. Allora bisognava ristampare il libro e riprendere a diffonderlo, contro ogni tentazione di arrendersi, contro ogni sensazione di nausea indotta dalle eterne difficoltà economiche o da certi sciacalli che avrebbero voluto impedircelo. Bisognava riprendere a girare l’Italia e a far parlare di “quel” dramma, perché si parli di tutti i drammi generati dall’odio politico. Bisognava, con tenacia e perseveranza, riprendere a chiedere che a Sergio Ramelli e a tutti i martiri del comunismo vengano intestate via e piazze: “come monito alle generazioni future affinché simili fatti non debbano più accadere”, come recita la formula utilizzata in tutte le richieste fin qui formulate.
Bisogna anche riprendere a sperare che, magari, il mutato clima politico possa arrestare la nuova cancrena di odio che sta distruggendo un’altra generazione: sperare che le sacche di “socialismo reale” che ancora si annidano nella società e nei costumi possano essere definitivamente sconfitte. Sperare, insomma, che quanti ancora ammorbano la nostra vita con vecchie nostalgie comuniste o quanti ancora si aggrappano ad un passato di divisioni e di settarismi che garantì loro immensi privilegi, lascino il campo definitivamente.
Vecchi uomini politici “nati dalla resistenza”, torvi magistrati “democratici”, beceri docenti universitari “antirevisionisti”, ottusi e miliardari “signori della penna”, ex-sessantottini ingrigiti che fanno i giullari in televisione e si arrogano il diritto di stabilire ciò che “piace ai giovani” … Insomma. un piccolo esercito di “cattivi maestri” da cui le nuove generazioni devono fuggire; una insana “corte dei miracoli” (e dei miracolati) che ha appestato l’Italia per troppo tempo.
Il volto di Sergio Ramelli, invece, è solare. La sua vita fu breve ma intensa e coraggiosa. il suo esempio parla di coerenza e lealtà. La sua storia è come un vento fresco che spazza il fetido odore di muffa che ancora invade scuole e università, Centri sociali e aule di tribunale, giornali e televisione.
Un vento purificatore, che sarà nostro impegno far soffiare ancora e più forte in ogni città e paese d’Italia.

Monza: 4 novembre 2001

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